Per decenni, uno dei dogmi della biologia ha affermato che il tessuto nervoso fosse “perenne”, cioè che, una volta formato, i neuroni restassero gli stessi per tutta la vita e che fosse praticamente impossibile osservare una rigenerazione in età adulta. Un processo di neurogenesi, ovvero di formazione di nuovi neuroni, era poi stato osservato nei topi, ma mancavano prove definitive che lo stesso accadesse nel cervello umano. Grazie a tecniche innovative un nuovo studio del Karolinska Institutet di Stoccolma, pubblicato lo scorso 3 luglio su Science, ha mostrato che, invece, nel tessuto cerebrale umano adulto sono presenti cellule con le caratteristiche genetiche dei progenitori neurali, ovvero cellule in grado di dividersi per generare nuovi neuroni.
Daiza Gordon ha vissuto sulla sua pelle la brutalità di una rara malattia genetica: la sindrome di Hunter (o mucopolisaccaridosi di tipo II). Ha perso i suoi due fratelli durante l’adolescenza e ha scoperto poi che anche i suoi tre figli maschi ne sono affetti. Oggi, grazie a una terapia sperimentale, i suoi bambini stanno sorprendendo anche i medici. Due di loro hanno mostrato miglioramenti fisici e cognitivi, mentre il più piccolo, trattato fin dalla tenera età, non mostra segni della malattia. La sua storia è stata raccontata da Allison Abbott su Nature News e questa speranza è merito di una tecnologia rivoluzionaria: le “navette molecolari”, o brain shuttles, capaci di trasportare farmaci nel cervello superando la sua barriera protettiva. In questo caso un sostituto dell’enzima mancante: l’iduronato-2-solfatasi (IDS).
Il 21 luglio la Commissione Europea ha concesso l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio per obecabtagene autoleucel (Aucatzyl), una terapia a base di cellule CAR-T sviluppata dalla biotech Autolus per il trattamento di pazienti adulti - di età pari o superiore a 26 anni - con leucemia linfoblastica acuta da precursori di cellule B recidivante o refrattaria (r/r B-ALL). L’approvazione, prevista anche dal report Horizon Scanning 2025, segue i risultati positivi dello studio clinico FELIX, che ha dimostrato un tasso di risposta completa del 76,6% tra i 94 pazienti nella coorte pivotale. La durata mediana della risposta è stata di 21,2 mesi, con una sopravvivenza mediana libera da eventi di 11,9 mesi.
Lo scorso maggio ha fatto clamore il caso di baby KJ, il bimbo affetto da un grave disturbo metabolico che ha ricevuto una terapia sviluppata soltanto per lui in soli sei mesi di tempo. Il rapido miglioramento delle sue condizioni e le sue dimissioni dall’ospedale hanno lasciato la comunità dei pazienti rari con una domanda: si è trattato di un exploit irripetibile o di un modello di intervento replicabile? La risposta giusta potrebbe essere la seconda, come testimonia la nascita del Center for Pediatric CRISPR Cures in California. Il centro, che sarà diretto da Fyodor Urnov, parte con la missione di sviluppare trattamenti di editing personalizzati per otto piccoli pazienti con difetti congeniti del metabolismo e del sistema immunitario.
In un laboratorio scozzese, dei ricercatori hanno trovato un modo per trasformare un nemico per l’ambiente e per la salute in un alleato della medicina. Il team dell’Università di Edimburgo coordinato da Stephen Wallace, infatti, ha ingegnosamente sfruttato un batterio comune - l’Escherichia coli - per produrre paracetamolo partendo da rifiuti plastici. Questo risultato è stato ottenuto grazie a una reazione chimica “non naturale” chiamata riarrangiamento di Lossen, resa compatibile con la vita cellulare. È una scoperta che intreccia chimica organica, ingegneria genetica e una buona dose di creatività nella lotta alla crisi ambientale e nella ricerca di una chimica farmaceutica più sostenibile. Lo studio è stato pubblicato a fine giugno su Nature Chemistry.
Da qualche anno le terapie con cellule CAR-T rappresentano una svolta nel trattamento di alcuni tumori ematologici, tra cui la leucemia linfoblastica acuta. Nonostante i risultati sempre più promettenti, molti pazienti affetti da leucemia vanno incontro a recidive e molti manifestano effetti collaterali significativi. La difficoltà nel migliorare queste terapie è in parte dovuta ai limiti dei metodi di sperimentazione tradizionali. Un nuovo dispositivo, chiamato “leukemia-on-a-chip”, permette di osservare in tempo reale le complesse interazioni tra cellule CAR-T e cellule tumorali in condizioni controllate, superando le limitazioni delle colture cellulari bidimensionali e degli esperimenti sugli animali. I risultati di questo innovativo modello preclinico sono stati pubblicati su Nature Biomedical Engineering.
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