Le terapie avanzate, ma più in generale l’innovazione biomedica, portano da sempre con sé grandi quesiti teoretici. A volte mettono letteralmente in crisi i principali modelli interpretativi della bioetica, quasi sempre portano con sé un’ampia gamma di dubbi e domande estremamente pratiche, tra le quali svettano l’informazione e l’allocazione delle risorse. Se da un lato la possibilità dell’editing genomico sugli embrioni umani è probabilmente l’esempio per eccellenza del quesito bioetico del nuovo millennio, dall’altro è impossibile non interrogarsi oggi su temi quali sperimentazione clinica, consenso informato e informazione (sia essa intesa come tempo di cura che come informazione pubblica).
La febbrile ricerca di una nuova terapia, di una nuova speranza per non arrendersi alle malattie, è da sempre connaturata all’uomo. Oggi abbiamo a disposizione sofisticate biotecnologie sviluppate con l’intento di salvare vite umane, che necessitano anni e anni di sperimentazioni cliniche (e prima ancora precliniche) e di ingenti risorse economiche per la loro applicazione pratica. Alle volte sono propriamente in grado di guarire (ne è un esempio la terapia genica per l’immunodeficienza ADA-SCID), in altri casi rappresentano le più alte forme di terapia personalizzata (come le CAR-T). Nella quasi totalità dei casi hanno dei costi elevati, soprattutto se paragonate alla terapie “tradizionali” e richiedono una rielaborazione delle strategie politiche, sociali ed economiche.
Chi può e deve quindi occuparsi di decidere come destinare le risorse, per natura limitate? Chi ha diritto di curare ed essere curato? Siamo certi che si tratti davvero di un problema di costi assoluti? Osservatorio Terapie Avanzate vuole offrire uno spazio di dibattito pubblico dedicato a questi ed altri temi bioetici intrinsecamente pluridisciplinari, accogliendo riflessioni e proposte, senza alcuna pretesa di esaustività. Sempre nell’ottica di farsi strumento al servizio di pazienti, ricercatori, istituzioni, giornalisti e stakeholder, favorendo un dibattito indipendente ed intellettualmente onesto.
Il primo studio clinico coinvolgerà 6 persone e, se i risultati saranno positivi, potrà estendersi a 44. La sopravvivenza a sei mesi dallo xenotrapianto sarà considerata un indicatore di successo, anche se non è chiaro in quanti casi dovrà essere raggiunto questo traguardo. In attesa che cominci la sperimentazione - autorizzata lo scorso febbraio dalla Food and Drug Administration (FDA) - gli occhi sono puntati su Timothy Andrews, che oltre quattro mesi fa ha ricevuto un rene di suino editato, grazie a un’autorizzazione una tantum in regime compassionevole. L’uomo ha battuto il record detenuto in precedenza da Towana Looney (quattro mesi e 9 giorni con uno xeno-rene) e, nel momento in cui scriviamo, sta bene.
Respingono il modello della Conferenza di Asilomar, che 50 anni fa ha rappresentato un momento cruciale di riflessione collettiva sulle frontiere della genetica: troppo tecnocentrico. Criticano i tre Summit sull’editing del genoma umano che hanno accompagnato l’avanzata di CRISPR fino al 2023: troppo utilitaristici. Invocano nuovi spazi per le prospettive religiose, multiculturali, extra-scientifiche. Sono le voci riunite dal Global Observatory for Genome Editing, il think tank fondato nel 2020 da Sheila Jasanoff che ad Harvard studia le dinamiche della tecnologia e della scienza con gli strumenti di sociologia, antropologia e diritto. Possono contare su un grant della Templeton Foundation da 2 milioni di dollari, ma cosa propongono?
La premessa è doverosa: i giudizi etici sono influenzati da cultura di appartenenza, religione, esperienze di vita, valori personali e altro ancora. Non può esistere, dunque, un solo modo di tracciare il confine tra giusto e sbagliato, né di soppesare i pro e i contro di una tecnica versatile come l’editing genomico. Di conseguenza il nuovo contributo pubblicato online nella sezione CRISPRpedia, curato dalla bioeticista di Berkeley Jodi Halpern insieme alla divulgatrice Hope Henderson, non vuole essere un decalogo di imperativi morali. Rappresenta piuttosto una rassegna ragionata dei punti critici più dibattuti e costituisce una bussola utile per insegnanti e studenti, medici e pazienti, e in generale per tutte le persone curiose.
Nel nostro Paese la donazione del proprio corpo alla scienza è possibile e normata dalla Legge, ma i numeri parlano chiaro: pochissime persone optano per questa scelta. Le motivazioni sono molteplici e vanno dalle più personali, come ad esempio la religione, alla poca conoscenza sul tema che porta a non considerare la pratica. Infatti, basta pensare a quanto siano più conosciute la donazione di sangue e di organi per rendersi conto della totale mancanza di campagne informative su questo tema. Di recente, la morte di Sammy Basso - giovane ricercatore affetto da progeria (o sindrome di Hutchinson-Gliford), che lavorava su CRISPR e che ha lasciato il suo corpo alla scienza affinché si possa studiare la sua rarissima malattia - ha puntato i riflettori su questa pratica poco diffusa in Italia.
a cura di Anna Meldolesi
Website by Digitest.net