manifattura, terapie avanzate, Cytiva

Claudia Gagliardini (Cytiva): “Attraversiamo una fase in cui piccoli cambiamenti possono tradursi in enormi benefici, perciò bisogna saper costruire e coltivare un dialogo reciproco”

Nell’ultimo decennio il panorama delle terapie avanzate è stato arricchito dall’ingresso sul mercato di nuovi trattamenti, diventati finalmente disponibili per pazienti in attesa da lungo tempo. Ciò non ha solo trasformato la mappa delle aziende produttrici ma ha anche rivoluzionato il lavoro delle autorità regolatorie, che si sono dovute progressivamente adattare a logiche produttive del tutto differenti da quelle degli altri farmaci, in un’ottica di armonizzazione che - stando all’esito di eventi come il Cell and Gene Therapy Forum promosso dalla Food and Drug Adiminisration (FDA) alcuni giorni fa - sta dando risultati apprezzabili. La valutazione dei processi produttivi delle terapie avanzate richiede pertanto un processo osmotico tra ricercatori, produttori ed enti regolatori. Lo ribadisce con enfasi anche Claudia Gagliardini, biologa molecolare, alla guida dell’area commerciale della Terapia Genica di Cytiva.

“Al di là delle difficoltà di far entrare in clinica nuove terapie avanzate, esiste una forte differenza tra gli attori che devono confrontarsi tra loro seguendo le linee guida stabilite da agenzie regolatorie come l’EMA o l’AIFA”, afferma la dottoressa Gagliardini, facendo riferimento alle persone che lavorano nei centri di ricerca, negli ospedali, nelle università, nelle piccole e medie aziende e nelle multinazionali del farmaco. “Attualmente la comunicazione fra tutte queste realtà e gli enti regolatori è punteggiata da zone di scarso segnale, ma la chiave del successo di una nuova terapia o di un processo per diminuire i costi di produzione o per velocizzare le procedure di preparazione di un prodotto consiste proprio nell’instaurare un dialogo bidirezionale con gli enti regolatori”. Sulla carta l’obiettivo appare quasi scontato ma non tutti hanno gli strumenti per costruire in maniera adeguata una tale relazione che, in certe situazioni, è minata alla base dal timore di un giudizio potenzialmente in grado di affossare molti mesi di ricerca e duro lavoro, vaporizzando capitali milionari e mettendo a repentaglio centinaia di carriere.

Nella quasi totalità delle situazioni i processi manifatturieri costituiscono il perno di una discussione ostica da avviare e mantenere anche a causa dell’elevato grado di burocrazia che permea alcuni passaggi. “Di frequente le linee guida stabilite dalle agenzie regolatorie vengono interpretate come un complesso di regole da applicare pedissequamente”, prosegue Gagliardini. “È faticoso portare questo canone così stringente dentro la propria attività ma nessuno si sottrae a tale compito. Il problema è che pochi si interrogano sulle motivazioni alla base di tante restrizioni: la sicurezza del paziente finale”. Su questo aspetto devono sorgere gli interrogativi che, in chiave costruttiva, portano ad una miglior applicazione delle normative e accrescono il livello di sicurezza dei prodotti. “Non basta recepire passivamente le indicazioni”, precisa ancora. “Bisogna metterle in discussione e porsi domande che guidino l’innovazione perché il cambiamento ad essa collegato sia sempre ben integrato con le linee guida regolatorie. Sono gli enti regolatori stessi che lo chiedono, recentemente l’EMA ha aperto un portale per raccogliere dubbi o richieste. È un meccanismo che potremmo definire win-win”.

Per spiegare l’importanza dell’innovazione nei processi produttivi, la dottoressa Gagliardini cita il caso del bioreattore iCellisTM, una tecnologia che ha avuto un ruolo chiave, dieci anni fa, nello sviluppo di numerose terapie geniche che sono oggi approvate. “Si tratta di uno strumento fondamentale per la coltura di cellule aderenti, che ha permesso di ottenere un numero elevato di cellule in uno spazio ridotto, generando così una quantità di vettori virali sufficiente ad avviare la produzione clinica” spiega. “Tutto questo senza dover ricorrere a incubatori tradizionali, spesso costosi e complessi da gestire”. L’introduzione del bioreattore ha reso possibile la standardizzazione del processo produttivo, riducendo i rischi legati alla manipolazione manuale e garantendo un maggiore controllo su parametri critici come robustezza e ripetibilità. Il risultato è un processo più sicuro e affidabile, con un impatto diretto sulla qualità del prodotto finale e, soprattutto, sulla sicurezza del paziente. Un elemento determinante per il successo di questa innovazione è stato il dialogo costante con le autorità regolatorie: le aziende coinvolte hanno collaborato attivamente con gli enti preposti per definire un piano di cambiamento graduale, valutando ogni fase di integrazione del nuovo dispositivo. Questo approccio ha permesso di aggiornare la catena produttiva nel pieno rispetto delle normative, garantendo un livello di sicurezza superiore rispetto ai metodi tradizionali. Ad oggi l’ICellisTM è utilizzato in 6 terapie approvate sul mercato delineando così un nuovo standard di riferimento.

La rivoluzione dei sistemi di produzione “chiusi” ha seguito questa logica di confronto in cui il risk assessment - cioè la valutazione del rischio - trova giustificazione in un contesto di quality assurance - cioè di garanzia di qualità - indispensabile in un’azienda. “In una biotech con un efficiente settore produttivo, il reparto di quality assurance si occupa di valutare tutto ciò che ricade sotto il cappello della qualità di processo da un punto di vista regolatorio”, aggiunge la biologa milanese. “Ma perché questo reparto operi al meglio delle proprie funzionalità non basta applicare un corpus di regole al lavoro in azienda, piuttosto occorre discuterle con gli enti regolatori per individuare soluzioni mai tentate prima”.

La produzione è il passaggio nodale di una terapia avanzata e si differenzia completamente rispetto a quella degli altri farmaci: essendo terapie spesso composte da cellule “vive”, la disponibilità dei materiali di partenza è limitata e i test di qualità più complessi da eseguire, di conseguenza serve una certa flessibilità produttiva e bisogna riscrivere da zero le regole per la valutazione dei prodotti. Unica certezza è la sicurezza del paziente a cui è destinato il trattamento. “La valutazione del rischio diventa dunque centrale per un’azienda e deve essere condotta con grandi competenze”, aggiunge Gagliardini. “Il confronto con il comparto regolatorio deve esser sostenuto e portato avanti da persone con un solido bagaglio di competenze all’interno delle aziende”. 

La parentesi del COVID-19 ha prodotto un disequilibrio tra i produttori di materiali per la realizzazione di terapie avanzate e le aziende sviluppatrici, i prezzi sono saliti e molte realtà negli Stati Uniti e in Europa non sono state in grado di proseguire la loro attività. “Negli Stati Uniti l’apice della crisi è stato raggiunto lo scorso anno, in Europa gli esiti della crisi si osservano da quest’anno”, afferma Gagliardini. “Per fortuna in Italia diverse aziende stanno resistendo meglio che in altri Paesi poiché la loro storia ha origine lontane, le loro radici sono profonde”. A tenerle a galla in un mare in tempesta è l’esperienza di chi guida i reparti di risk assessment.

“Nel mondo delle terapie avanzate dove le componenti tecnologiche e scientifiche rappresentano il cuore di un’azienda, il parametro che sancisce il successo dell’innovazione è dato dalle persone con una solida esperienza, in grado di trasferire le proprie competenze nel dialogo con le autorità regolatorie”, dichiara. “Le terapie avanzate stanno vivendo una fase delicata della loro traiettoria evolutiva, in cui piccoli cambiamenti possono comportare grandi benefici. Perciò si avverte la necessità di non essere schematici bensì aperti alla valutazione di aspetti per cui non c’è ancora un preciso inquadramento normativo. È un’opera da svolgere con consapevolezza e ricorrendo a competenze autorevoli e profonde, cercando un equilibrio tra aderenza agli schemi e opportunità di adottare un pensiero laterale. Applicando, infine, a questo modus operandi la cultura del dialogo con la controparte regolatoria la quale, a propria volta, necessita di una formazione tecnica precisa per poter rivedere i passaggi normativi da estendere alle terapie avanzate”. Una vera e propria osmosi di informazioni.

Al contempo occorre tenere aperto un canale di comunicazione anche con i fornitori: il confronto è ciò che spinge questa categoria ad innovarsi e a lanciare sul mercato prodotti in grado di accogliere (e vincere) le sfide sul campo. Limitare il contatto con i fornitori al solo acquisto rischia di appiattire l’evoluzione di tecnologie, mentre sarebbe opportuno che gli utilizzatori spingessero i fornitori stessi verso l’eccellenza tecnologica. Inoltre, i fornitori costituiscono una risorsa straordinaria per la formazione interna di un’azienda. “In Cytiva, ad esempio, abbiamo sviluppato una Suite dedicata alla formazione dei clienti”, aggiunge Gagliardini. “È stata chiamata Fast-track perché aiuta le aziende ad essere agili, con personale sempre aggiornato. La Suite prevede un training sul campo, una piattaforma di e-learning per una fruizione più smart e il ricorso alla realtà virtuale per formare gli operatori sull’operatività in aree GMP senza doverne usufruire, diminuendo così il rischio di contaminazione e i costi di materiali”.

Quanti lavorano nella produzione delle terapie avanzate devono infine saper sostenere la discussione con le agenzie regolatorie, esigendo una valutazione dei dati e dei processi, aprendo un contraddittorio con chi definisce le regole per introdurre aspetti di innovazione o semplificare - grazie alle moderne tecnologie - i processi in essere. “Bisogna saper tirare fuori soluzioni anche dalle situazioni critiche e istituzionalizzare un tale modo di agire”, conclude Gagliardini. “Ciò significa investire sui prodotti e sugli istituti di ricerca permettendo così la registrazione di brevetti e, nel contesto delle aziende, portando a sviluppo nuovi prodotti. Ciò permette un ritorno di capitali e di servizi a chi ne ha più bisogno”. È un modello non solo virtuoso ma vincente, che alla base colloca la formazione, rifiutando la cosiddetta Amazon culture che invita ad acquistare a catalogo. Prediligendo, invece, l’esperienza di chi conosce i propri strumenti - siano essi celle, vettori virali, mRNA o proteine - si potrà immaginare di trasferirla ai prodotti e condividerla con chi dovrà regolare l’accesso ai mercati di tali prodotti. Creando valore.

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