malattie mitocondriali, donazione mitocondri

I risultati clinici sono stati ottenuti in UK grazie al trasferimento pronucleare, un passo decisivo nella prevenzione delle malattie mitocondriali. In Italia il dibattito è invece ancora aperto

Nel Regno Unito sono nati otto bambini sani grazie alla donazione mitocondriale, una tecnica di fecondazione in vitro che permette alle donne portatrici di gravi mutazioni del DNA mitocondriale di avere figli senza trasmettere la malattia. A documentarlo sono due pubblicazioni dell’Università di Newcastle sul New England Journal of Medicine (qui e qui), primo passo concreto nella valutazione clinica di questa strategia riproduttiva. La procedura, nota come trasferimento dei pronuclei, prevede il trapianto del nucleo dell’ovocita materno in un ovocita sano donato, da cui è stato rimosso il nucleo originario. I dati clinici britannici indicano un buon profilo di sicurezza e di efficacia, con lo sviluppo regolare dei bambini. In Italia la tecnica non è ancora consentita, ma un disegno di legge presentato al Senato nel 2023 potrebbe aprire alla sperimentazione controllata, seguendo il modello britannico. Ne parliamo in occasione della Settimana della Sensibilizzazione Mondiale sulle Malattie Mitocondriali, che quest’anno si svolge dal 15 al 21 settembre 2025 e il cui tema è: "Decodificare il puzzle mitocondriale - Colmare il divario tra scienza e sintomi".

CHE COS’È IL TRASFERIMENTO DEI PRONUCLEI

I mitocondri, noti come le “centrali energetiche” della cellula, sono organuli importantissimi e fondamentali per il corretto funzionamento della cellula. Producono l’energia necessaria alla vita e partecipano a processi chiave per il metabolismo cellulare. Ogni anno, circa un bambino su 5.000 nasce con mutazioni del DNA mitocondriale che possono causare malattie devastanti, proprio perché correlate a una ridotta disponibilità di energia nei tessuti come cuore, cervello e muscoli. Lo stato dei mitocondri può essere definito in 3 modi: tutti wild-type (cioè la versione normale), tutti mutati o eteroplasmia, cioè un mix di mitocondri sani e mutati. In questo caso il livello di mitocondri mutati è legato allo stato della malattia: maggiore è il numero di organuli mutato, più grave sarà la malattia. Il DNA mitocondriale è ereditato solo dall’ovulo materno (tranne alcune eccezioni), queste malattie vengono quindi trasmesse dalla madre al bambino. Sebbene anche i maschi possano essere affetti, essi non trasmettono la malattia. Nonostante anni di ricerca, non esiste ancora una cura per le persone affette da malattie del DNA mitocondriale.

Negli ultimi anni si stanno studiando diversi approcci per affrontare le patologie che dipendono da queste mutazioni, tra questi ci sono il trasferimento pronucleare e l’editing mirato al DNA dei mitocondri, ancora in fase sperimentale. Il trasferimento pronucleare è una procedura di procreazione medicalmente assistita che interviene dopo la fecondazione di due ovociti: quello della madre portatrice di mutazioni mitocondriali e quello della donatrice sana. Dal primo si preleva il nucleo — contenente il DNA nucleare dei genitori — e lo si inserisce nel secondo, da cui è stato rimosso il nucleo ma che mantiene dei mitocondri sani.

Questa tecnica consente di evitare la trasmissione delle mutazioni mitocondriali mantenendo intatto il DNA nucleare, cioè il patrimonio genetico che determina le caratteristiche ereditarie del bambino. Dal punto di vista tecnico viene talvolta definita “fecondazione in vitro a tre genitori”, ma in realtà l’identità genetica nucleare resta quella della coppia biologica.

COSA DICONO LE DUE PUBBLICAZIONI?

Nello studio “Mitochondrial Donation and Preimplantation Genetic Testing for mtDNA Disease” viene descritta l’applicazione clinica di una procedura di trasferimento pronucleare, mentre nell’articolo di accompagnamento “Mitochondrial Donation in a Reproductive Care Pathway for mtDNA Disease” vengono descritti i risultati sulla salute materna e infantile. La tecnica del trasferimento pronucleare (o donazione mitocondriale) è stata sperimentata per la prima volta su ovuli umani oltre 10 anni fa da un gruppo di ricercatori dell'Università di Newcastle e del Newcastle upon Tyne Hospitals NHS Foundation Trust, in un lavoro finanziato da Wellcome e NHS England. La procedura è stata poi legalizzata nel Regno Unito nel 2015.

Lo studio dell’Università di Newcastle presenta i risultati relativi a due tipologie di intervento in caso di malattie mitocondriali: la diagnosi genetica preimpianto (PGT) e il trasferimento pronucleare. Da un lato, sono state monitorate 32 donne autorizzate dalla Human Fertilisation and Embryology Authority (HFEA) a sottoporsi al trasferimento pronucleare, di cui 22 hanno iniziato il trattamento. Il gruppo di ricercatori del Regno Unito ha presentato una storia di successo nella gestione delle malattie mitocondriale: 8 bambini - 4 femmine e 4 maschi (tra cui una coppia di gemelli omozigoti) - sono nati grazie al trasferimento pronucleare, tutti senza segni di malattie legate a mutazioni del DNA mitocondriale e con uno sviluppo normale. Un’ulteriore gravidanza è in corso. Dall’altro, il test genetico preimpianto ha portato a 18 nascite (9 femmine e 9 maschi). Il follow-up ha incluso esami neurologici, genetici e cardiologici fino ad almeno 18 mesi. Tutti i bambini mostrano uno sviluppo regolare. Alcuni casi hanno presentato disturbi transitori (epilessia infantile autorisolta, lieve aritmia, iperlipidemia), risolti con terapia mirata. In un caso, un bambino ha sviluppato aritmia e steatosi epatica legata alla condizione materna, ma è tornato alla normalità dopo trattamento dietetico e farmacologico. Al momento della pubblicazione, tutti mostravano uno sviluppo neurologico e fisico regolare. 

Gli autori affermano che le eventuali condizioni di salute dei bambini non sembrano essere correlate alle mutazioni del DNA mitocondriale materno, poiché i bassi livelli rilevati in questi bambini non dovrebbero causare sintomi della malattia. I sintomi di queste mutazioni, infatti, si manifestano solo con livelli superiori all'80%.

Nella seconda pubblicazione è, invece, illustrato il programma integrato che offriva alle donne portatrici di mutazioni nel DNA mitocondriale la scelta tra queste due opzioni. Nei neonati da trasferimento pronucleare, i livelli di eteroplasmia variavano da non rilevabili al 16%, con una riduzione del DNA mitocondriale mutato del 95–100% in sei casi e del 77–88% in due casi, rispetto agli zigoti di partenza. Nei neonati da PGT, i livelli variavano da non rilevabili al 7%. La presenza di mutazioni del DNA mitocondriale nei bambini nati dopo il trattamento di trasferimento pronucleare è il risultato del trasferimento dei mitocondri materni che circondano il DNA nucleare al momento del trapianto. Il team sta cercando di comprendere meglio e affrontare questo problema nell'ambito di un programma di ricerca di base.

UN PROGRAMMA REGOLATO E RIGOROSO

Il programma britannico si basa su una valutazione multidisciplinare delle candidate, che prevede: analisi genetiche approfondite, consulenze riproduttive e cardiologiche, supporto psicologico, monitoraggio clinico in gravidanza e nei primi 18 mesi di vita del neonato. Il team di ricerca ha sottolineato che gli studi di follow-up sono essenziali e ha affermato che continuerà a offrire valutazioni fino all'età di 5 anni. Le pazienti ricevono informazioni su tutte le opzioni disponibili: diagnosi genetica preimpianto (PGT), donazione mitocondriale, ovodonazione, adozione o rinuncia alla maternità biologica.

La madre di una bambina nata grazie alla donazione mitocondriale ha dichiarato: "Come genitori, tutto ciò che desideravamo era dare a nostra figlia un inizio di vita sano. La fecondazione in vitro con donazione mitocondriale lo ha reso possibile. Dopo anni di incertezza, questo trattamento ci ha dato speranza e poi ci ha dato la nostra bambina. Ora la guardiamo, piena di vita e di possibilità, e siamo sopraffatti dalla gratitudine. La scienza ci ha dato una possibilità".

La professoressa Mary Herbert, autrice principale dell'articolo sui risultati riproduttivi che ha condotto la ricerca presso l'Università di Newcastle, ha dichiarato: "I risultati danno motivo di ottimismo. Tuttavia, gli studi per comprendere meglio i limiti delle tecnologie di donazione mitocondriale saranno essenziali per migliorare ulteriormente i risultati del trattamento. Le tecnologie di donazione mitocondriale sono attualmente considerate trattamenti di riduzione del rischio a causa del trasferimento del DNA mitocondriale materno durante la procedura di donazione mitocondriale. La nostra ricerca in corso cerca di colmare il divario tra la riduzione del rischio e la prevenzione delle malattie del DNA mitocondriale affrontando questo problema".

In Italia, la donazione mitocondriale non è ancora ammessa. Tuttavia, il Disegno di Legge S.949 (presentato al Senato il 22 novembre 2023) propone di autorizzare in via sperimentale la sostituzione mitocondriale in donne portatrici di mutazioni gravi del DNA mitocondriale. Tra i punti più importanti della proposta ci sono: accesso solo a casi gravi certificati, divieto assoluto di manipolazione del DNA nucleare, anonimato della donatrice e sorveglianza clinica fino ai 18 anni del bambino.

Le associazioni di pazienti, in particolare Mitocon, hanno avuto un ruolo decisivo nel promuovere la discussione. Come afferma Piero Santantonio, fondatore e past president Mitocon: “I risultati dello studio britannico offrono una prova concreta dell’efficacia e sicurezza della donazione mitocondriale. È tempo che anche in Italia si sblocchi questa situazione di stallo e si avvii un tavolo tecnico per disciplinare l’avvio della sostituzione del DNA mitocondriale nel nostro Paese, in un contesto protetto e regolato.”

La tecnologia di donazione mitocondriale basata sulla fecondazione in vitro, il trasferimento pronucleare, è stata descritta per la prima volta in un articolo pubblicato su Nature nel 2010. I dati britannici, seppur preliminari, indicano che la donazione mitocondriale è una strategia sicura ed efficace per ridurre drasticamente il rischio di trasmissione di patologie mitocondriali ereditarie. La sfida ora è garantire un monitoraggio a lungo termine e replicare i risultati su scala più ampia. Per l’Italia, l’avvio della sperimentazione rappresenterebbe un passo verso forme di medicina riproduttiva più avanzate, capaci di rispondere a bisogni oggi senza soluzione, mantenendo alta l’attenzione su etica, sicurezza e consenso informato.

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