La ricerca scientifica sta finalmente aprendo la strada per portare farmaci nel cervello, superando un ostacolo ritenuto per decenni quasi invalicabile: la barriera emato-encefalica
Daiza Gordon ha vissuto sulla sua pelle la brutalità di una rara malattia genetica: la sindrome di Hunter (o mucopolisaccaridosi di tipo II). Ha perso i suoi due fratelli durante l’adolescenza e ha scoperto poi che anche i suoi tre figli maschi ne sono affetti. Oggi, grazie a una terapia sperimentale, i suoi bambini stanno sorprendendo anche i medici. Due di loro hanno mostrato miglioramenti fisici e cognitivi, mentre il più piccolo, trattato fin dalla tenera età, non mostra segni della malattia. La sua storia è stata raccontata da Allison Abbott su Nature News e questa speranza è merito di una tecnologia rivoluzionaria: le “navette molecolari”, o brain shuttles, capaci di trasportare farmaci nel cervello superando la sua barriera protettiva. In questo caso un sostituto dell’enzima mancante: l’iduronato-2-solfatasi (IDS).
COS'È LA BARRIERA EMATO-ENCEFALICA?
Il cervello è un organo delicatissimo e ha bisogno di essere protetto. Per questo, è separato dal sangue da una fitta rete di cellule che impedisce a sostanze pericolose di entrare: è la cosiddetta barriera emato-encefalica. Solo molecole molto piccole o specifiche, come l’ossigeno o il glucosio, possono passare facilmente e alcune richiedono il supporto di trasportatori, cioè siti specializzati nella barriera.
Questa protezione però ha un prezzo: rende quasi impossibile far arrivare nel cervello farmaci di grandi dimensioni, come enzimi, anticorpi o terapie geniche. Ecco perché molte terapie per malattie neurologiche sono ancora inefficaci.
Le infusioni di iduronato-2-solfatasi sono lo standard terapeutico e proteggono organi come fegato e reni dai danni della sindrome di Hunter, ma l’enzima – di grandi dimensioni – non riesce a raggiungere il cervello.
I “PASSAPORTI” PER IL CERVELLO
Come trovare delle navette in grado di trasportare le sostanze utili oltre alla barriera? La svolta arriva sfruttando i meccanismi naturali del corpo. Alcune proteine, come la transferrina, riescono ad attraversare la barriera perché portano al cervello sostanze vitali, come il ferro. I ricercatori hanno creato delle molecole che si legano ai recettori della transferrina, portando con sé il farmaco: è come se gli avessero dato un passaporto per attraversare il confine.
Questi sistemi di trasporto, chiamati brain shuttles, sono stati perfezionati negli ultimi anni e oggi sono in fase avanzata di sperimentazione per diverse patologie. Se all’inizio l’obiettivo era quello di creare farmaci piccoli e liposolubili, quindi in grado di attraversare la barriera senza ostacoli, oggi si cercano altre soluzioni per permettere anche a molecole di grandi dimensioni di arrivare a destinazione.
MALATTIE RARE, ALZHEIMER E TUMORI: LE APPLICAZIONI SI MOLTIPLICANO
Oltre alla sindrome di Hunter, anche l'Alzheimer potrebbe trarre enormi benefici. I farmaci oggi approvati agiscono su placche di proteine nel cervello, ma solo una minima parte del principio attivo riesce a raggiungere la destinazione. Con le navette molecolari, si è già visto che l’efficacia aumenta e gli effetti collaterali si riducono.
Anche forme di tumore cerebrale e metastasi che oggi non possono essere trattate stanno diventando bersagli raggiungibili, grazie a molecole modificate per attraversare la barriera.
UN NUOVO SLANCIO PER LA NEUROFARMACOLOGIA
La ricerca non si ferma qui. Gli scienziati stanno sperimentando navette che trasportano RNA o DNA, in grado di correggere difetti genetici direttamente nei neuroni. Altri studi puntano a utilizzare virus modificati o esosomi, minuscole vescicole naturali, come veicoli per terapie geniche.
Grazie a queste nuove tecnologie, l'interesse per la ricerca sui farmaci destinati al cervello è rinato dopo anni di fermo. Le navette cerebrali rappresentano una speranza concreta non solo per le malattie rare, ma anche per patologie neurodegenerative che affliggono milioni di persone. Per famiglie come quella di Daiza Gordon, queste terapie non sono solo scienza: sono la possibilità di un futuro.





