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Un’indagine approfondita sullo sviluppo e la distribuzione delle terapie per le malattie rare in Europa, tra squilibri di mercato, mancanza di dati e speranze da concretizzare

Le malattie rare vengono così definite perché colpiscono un numero limitato di persone: una patologia è “rara” se colpisce meno di 1 individuo ogni 2.000. Tuttavia, considerate tutte insieme, interessano circa 30 milioni di europei. La sfida non riguarda quindi una piccola nicchia, ma un problema di salute pubblica di dimensioni enormi, che impone risposte coordinate e sistemiche. Un recente studio francese, pubblicato su Frontiers in Public Health da Emmanuelle Cacoub e colleghi, esplora proprio questo nodo cruciale: quanto è avanzato e quanto è ancora carente il panorama dei farmaci per le malattie rare in Europa? E le terapie avanzate come si piazzano in questo contesto?

TECNOLOGIA E DIAGNOSI

La rivoluzione tecnologica degli ultimi anni ha inciso profondamente sul modo in cui identifichiamo le malattie rare. In particolare, il sequenziamento di nuova generazione (Next Generation Sequencing, NGS) ha trasformato radicalmente la diagnostica: si è passati da diagnosi lunghe e incerte, spesso basate su sintomi clinici generici, a una possibilità concreta di identificare mutazioni genetiche specifiche in tempi più rapidi.

Questa transizione tecnologica sta consentendo di intercettare più casi, ma comporta due effetti contrastanti: da un lato aumenta la domanda di trattamenti, poiché crescono le diagnosi; dall’altro mette in evidenza le lacune terapeutiche dato che, in moltissimi casi, alla diagnosi non corrisponde ancora nessuna terapia. Infatti, l'80% delle malattie rare è geneticamente predisposto, ma il 95% di queste non dispone di trattamenti approvati, con una diagnosi che richiede in media 5 anni.

La diagnosi precoce resta comunque fondamentale per migliorare la qualità della vita, anche solo nel 5% dei casi che riescono a raggiungerla, così da intervenire tempestivamente. Questo, ad esempio, è importante per le malattie metaboliche rare, che necessitano di interventi immediati per evitare danni all’organismo, ma anche per le malattie che oggi possono essere trattate con una terapia genica: è ormai noto, infatti, che prima si interviene e migliori sono i risultati.

INNOVAZIONE FARMACEUTICA

Se la storia delle malattie rare è direttamente collegata allo sviluppo delle terapie avanzate, il limitato potenziale di mercato dei farmaci per le malattie rare scoraggia lo sviluppo farmaceutico, specialmente nel caso di terapie il cui sviluppo richiede anni di investimenti altissimi in ricerca, per poi avere un mercato limitato. Come spiegato nell’articolo, l'Unione Europea (UE) ha adottato misure proattive per affrontare queste condizioni attraverso il regolamento sui farmaci orfani, che incentiva lo sviluppo di farmaci offrendo diversi vantaggi alle aziende farmaceutiche. Dei 400 interventi approvati dall' Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) contro le malattie rare, il 35% ha lo status di farmaco orfano, mentre il 65% no.

I principali progressi terapeutici in questo settore, come la terapia genica, la medicina di precisione in generale e il riposizionamento dei farmaci (drug repurposing), promettono di migliorare i risultati dei pazienti. Tuttavia, persistono delle sfide tra cui i ritardi diagnostici, l'accesso limitato ai trattamenti e l'arruolamento negli studi clinici, in particolare per le malattie ultra-rare. Si tratta di un ambito molto complesso, con necessità terapeutiche note ma a cui spesso è difficile rispondere in modo adeguato.

Lo studio ha censito 211 farmaci approvati dall'EMA per il trattamento di malattie rare fino al 2021. Dall’analisi sono emersi farmaci con designazione orfana, che godono di incentivi normativi (es. esclusive di mercato, riduzione dei costi autorizzativi), e farmaci riposizionati, ovvero medicinali originariamente sviluppati per altri usi, poi adattati a patologie rare. Il primo gruppo rappresenta l’innovazione pura: ricerca su misura, studi clinici mirati e biotecnologie avanzate. Il secondo, invece, è una risposta pragmatica e rapida: permette di usare in tempi più brevi ciò che già esiste, contenendo i costi di sviluppo.

Come riportato dallo studio, i principali attori farmaceutici dei farmaci che hanno ricevuto la designazione di farmaco orfano sono Novartis, BioMarin International Limited, Janssen Cilag International, Hoffmann-La Roche AG, Celgene (acquisita da Bristol-Myers Squibb), Pfizer, Alexion (partner di AstraZeneca), Alnylam pharmaceuticals, Chiesi Pharmaceutical, Incyte Biosciences, Shire (parte di Takeda), Takeda pharmaceuticals, Vertex pharmaceuticals, Advanced Accelerator Applications, Akcea Therapeutics, Amgen, Bayer AG, Bluebird bio, Genzyme (parte di Sanofi) e Ipsen Pharmaceuticals. Per quello che riguarda, invece, i farmaci senza designazione, compaiono Pfizer, Merck, Novartis, Sandoz, Accord healthcare, Janssen International, Hoffmann-La Roche AG, Genzyme (parte di Sanofi), Bayer AG, Eisai Gmbh, Mylan SAS, Recordati Rare Diseases, Baxalta Innovations, Bristol Myers Squibb, Celgene (acquisita da Bristol-Myers Squibb), CSL Behring, Novo Nordisk, Sanofi, Shire (parte di Takeda) e Amgen.

CHI INVESTE NELLE TERAPIE ORFANE E INNOVATIVE?

La distribuzione globale mostra che le entità farmaceutiche coinvolte nello sviluppo e nell'approvazione di farmaci per le malattie rare – incluse le terapie avanzate - hanno sede soprattutto nei Paesi sviluppati. Gli Stati Uniti al primo posto, seguiti dai Paesi dell'UE, dal Giappone e dall'Australia. Le terapie chiave per le malattie rare includono terapie personalizzate (ad esempio nel caso dei trattamenti n-of-1, ne abbiamo scritto qui e qui), terapia enzimatica sostitutiva, terapia genica, terapia cellulare, terapia con RNA antisensoterapie CAR-T, CRISPR, e interventi basati su siRNA.

Un altro contributo importante dello studio è l’analisi delle pipeline di 43 aziende europee impegnate nella ricerca di trattamenti per malattie rare. Ne emerge un dato chiaro: l’interesse industriale per questo ambito è in crescita, ma resta fortemente sbilanciato. Le patologie rare più “attraenti” per il mercato sono quelle che richiedono trattamenti cronici (che generano ricavi costanti), quelle che colpiscono segmenti di popolazione a reddito elevato o con accesso a sistemi sanitari efficienti, e quelle che possono essere target di terapie avanzate ad alto prezzo. Questo crea il paradosso per eccellenza: alcune malattie rare sono più “visibili” e trattabili di altre, non per motivi clinici, ma economici.

Se da un lato l'innovazione scientifica è la chiave per sbloccare nuove opzioni terapeutiche, dall'altro il panorama commerciale svolge un ruolo cruciale nel garantire che queste terapie raggiungano i pazienti che ne hanno maggiormente bisogno.

DATI E ACCESSIBILITÀ, DUE NODI URGENTI

L’articolo sottolinea come la carenza di dati epidemiologici e clinici omogenei a livello europeo ostacoli una vera pianificazione strategica. Senza registri nazionali integrati, è difficile stimare: quante persone vivono con una malattia rara, quali trattamenti ricevono e con quale esito e dove esistono le maggiori lacune terapeutiche.

Avere farmaci approvati non significa necessariamente che siano accessibili a tutti. Le barriere economiche, regolatorie e territoriali restano alte. In alcuni Paesi europei, i tempi di approvazione nazionale (post-EMA) variano anche di anni, e i rimborsi non sono sempre garantiti. Anche il prezzo è un ostacolo: alcune terapie avanzate per malattie rare (come quelle basate sulla terapia genica) arrivano a milioni di euro a trattamento. Trattamenti come Libmeldy, Zolgensma e Upstaza superano i 2-3 milioni di euro a persona, cosa che riflette una inevitabile mancanza di equità a livello globale nell’accesso di questi farmaci. L'Unione Europea ha adottato misure proattive per affrontare queste condizioni attraverso il regolamento sui farmaci orfani, che incentiva lo sviluppo di farmaci offrendo diversi vantaggi alle aziende farmaceutiche, ma che non è sufficiente a rispondere alle nuove necessità portate dalle terapie avanzate. Trovare un modello di sostenibilità è quindi fondamentale per i pazienti in primis, ma anche per famiglie, aziende, enti regolatori e pagatori (ne abbiamo parlato di recente qui).

L’aumento degli attori nel settore delle malattie rare segnala una maggiore consapevolezza del suo valore. Le nuove frontiere includono la medicina di precisione e le terapie geniche, con l’obiettivo di correggere malattie alla radice agendo sul codice genetico. L’analisi dei big data aiuta a scoprire connessioni nascoste e a migliorare la ricerca. Fondazioni e associazioni di pazienti sostengono lo sviluppo e l’accesso equo alle cure, promuovendo consapevolezza, finanziamenti e sperimentazioni.

Lo studio fornisce una base di informazioni importanti, ma la sfida vera è politica: garantire che la ricerca si orienti anche verso le patologie meno “redditizie”, che i sistemi sanitari possano sostenerne i costi – anche nel caso di terapie altamente innovative - e che i dati siano uno strumento pubblico di giustizia e non solo di mercato.

Con il contributo incondizionato di

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