CAR-T, lupus, malattie autoimmuni

L’apripista è stato il caso di una giovane donna tedesca affetta da lupus eritematoso sistemico in remissione persistente e senza bisogno di assumere altri farmaci dopo il trattamento con CAR-T 

Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una condizione autoimmune multifattoriale, divenuta celebre in serie televisive come E.R - Medici in prima linea o Dr. House - Medical Division, che comporta un drastico sfasamento dei meccanismi di immunoregolazione scatenato da varie cause e con uno spettro di sintomi piuttosto ampio: da forme lievi ad altre più severe, come quella della giovane donna tedesca a cui è stato somministrato un trattamento a base di cellule CAR-T che ha “congelato” i focolai infiammatori del LES. Siamo partiti proprio da questo caso per capire, insieme al dott. Fabrizio De Benedetti, responsabile dell’area di ricerca di Immunologia, Reumatologia e Malattie infettive e Direttore dell’U.O.C. di Reumatologia dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (OPBG) di Roma, le ragioni per le quali le malattie autoimmuni possono essere bersaglio delle CAR-T anti-CD19, già utilizzate nel trattamento di leucemie linfoblastiche e linfomi.

VANTAGGI DELLE CAR-T CONTRO LE MALATTIE AUTOIMMUNI

Che i linfociti B ricoprano un ruolo centrale nella patogenesi delle malattie autoimmuni è noto da decenni”, afferma De Benedetti. “Infatti, oltre a sfornare gli anticorpi con cui attaccare i patogeni che minacciano l’organismo, i linfociti B possono produrre auto-anticorpi diretti contro le strutture sane. È questa la situazione in cui essi non riconoscono il self (sé stesso), cioè la parte sana dell’organismo. Ma il loro ruolo nel contesto delle malattie autoimmuni va oltre la mera produzione di auto-anticorpi”. Nel LES, ad esempio, l’attuale protocollo terapeutico prevede una impressionante sequenza di farmaci: cortisonici, immunosoppressivi, citostatici e, più di recente, gli anticorpi monoclonali. Uno dei più sfruttati di quest’ultima classe è rituximab, la cui azione è rivolta in maniera mirata verso i linfociti B CD20+ ottenendo così un discreto miglioramento dei sintomi.

“Ma nel cammino verso lo stadio di plasmacellula (che produce gli auto-anticorpi) il linfocita B attraversa varie fasi nelle quali l’espressione della molecola CD20 non è uniforme”, aggiunge De Benedetti. “I precursori dei linfociti B non esprimono CD20 così come le giovani plasmacellule. Pertanto, l’efficacia del rituximab contro queste popolazioni cellulari decade”. L’anticorpo non riesce dunque a sconfiggere tutti i linfociti B responsabili della malattia e, da solo, non ha la forza di “resettare” il sistema immunitario impazzito dei pazienti con LES. “Al contrario, entrambe queste popolazioni di linfociti B - i precursori e le giovani plasmacellule - e tutti gli altri stadi intermedi di maturazione esprimono sulla loro superficie l’antigene CD19 che è quello contro cui sono state pensate e realizzate le CAR-T”, precisa De Benedetti.

In aggiunta a ciò, mentre la penetrazione nei tessuti da parte degli anticorpi monoclonali come rituximab rimane modesta, le CAR-T raggiungono i tessuti, come il midollo osseo, e uccidono tutte le cellule B recanti l’antigene CD19. “Nuovi farmaci sono recentemente diventati disponibili nella cura del LES”, riprende De Benedetti. “Tra di essi anche belimumab un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina BLyS (B-Lymphocyte Stimulator) che, inibendo la attività biologica di questa citochina, riduce la sopravvivenza delle cellule B patologiche. Si conferma in tal modo la tendenza emersa negli ultimi anni dai risultati degli studi condotti sulle malattie autoimmuni secondo cui l’eradicazione dei linfociti B malati è una valida possibilità terapeutica”.

LA RAGAZZA TEDESCA E I 3 PAZIENTI DEL BAMBINO GESU’ DI ROMA 

Di fatto, nella ventenne tedesca - il cui caso è stato descritto da Georg Schett sulle pagine del New England Journal of Medicine - nulla sembrava poter placare i sintomi della malattia: i medici avevano provato a somministrarle cortisonici ad alto dosaggio, ciclofosfamide e persino gli anticorpi monoclonali, belimumab e rituximab. Purtroppo, non avevano funzionato e la giovane aveva sviluppato un grave coinvolgimento renale del LES che avrebbe richiesto il trapianto d’organo o la dialisi per tutta la vita. Per fortuna Schett ebbe un’intuizione e, d’accordo con i colleghi ematologi e oncologi, procedette con la somministrazione di una dose delle cellule CAR-T che nel giro di qualche settimana ebbero sulla paziente un effetto sorprendente, spegnendo i sintomi della malattia (il titolo degli anticorpi anti-dsDNA è sceso quasi a 0). Da ormai due anni la ragazza è in remissione persistente e non sta assumendo altre terapie. 

“Questo risultato ha colpito nel profondo la comunità dei reumatologi che non aveva mai osservato un tale riscontro con nessun trattamento”, spiega De Benedetti. “Il LES è una malattia ad andamento oscillatorio, nella quale fasi acute si alterano ad altre di miglioramento della sintomatologia, ma molto spesso obbliga il paziente a rimanere in trattamento per tutta la vita. Non si era mai vista una remissione tanto profonda e duratura”. E mentre il volume di pazienti trattati in Germania con le CAR-T è cresciuto - in un abstract presentato a fine 2023 al 65esimo Congresso della Società Americana di Ematologia (ASH) si legge che i pazienti con LES a cui Schett ha somministrato le CAR-T sono saliti a 8, insieme ad altri 4 affetti da sclerosi sistemica e 3 da miosite autoimmune - anche in Italia si è deciso di percorrere la stessa strada (ne abbiamo parlato qui) . Si è scelto di farlo a partire dai bambini che sono a rischio di LES più grave rispetto agli adulti e in cui vi è già una consolidata esperienza di utilizzo delle CAR-T anti-CD19 nel trattamento delle leucemia linfoblastica acuta refrattaria.

La prima paziente, avviata al trattamento all’Ospedale Bambino Gesù di Roma da circa due anni, era affetta da una quadro particolarmente severo di LES”, precisa De Benedetti. “Erano insorte manifestazioni gravi con una forma di ipertensione polmonare e una nefrite lupica di tipo 5 molto aggressiva”. In genere l’aspettativa di vita a 5 anni di coloro che sviluppano tali complicanze si riduce significativamente, ma con questa storia naturale di malattia - nella quale non sono mancate due gravi infezioni, conseguenza dei trattamenti immunosoppressivi - la ragazza era una candidata perfetta al trattamento. “Attualmente, a 7 mesi dalla somministrazione delle CAR-T la giovane sta bene e non sta assumendo altre terapie”, chiarisce il reumatologo dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù . “Non possiamo esser certi che la malattia non si ripresenterà ma per ora non lo ha fatto. I pazienti con una grave patologia autoimmune in cui l’aberrazione dei linfociti B è causa principale delle manifestazioni e che, per tale ragione, sono costretti ai trattamenti per l’intera durata della loro vita, rappresentano i candidati ideali per questo genere di terapia. Di certo i linfociti B non sono gli unici responsabili di una malattia eterogenea come il LES; però un periodo di remissione così lungo come quello osservato nella giovane è assolutamente straordinario in malattie autoimmuni di questo genere. Perciò, si tratta di un guadagno eccezionale in termini di qualità di vita”.

Sull’onda dell’entusiasmo le CAR-T sono state destinate anche a un’altra ragazza, con una patologia lupica ancora peggiore: due precedenti episodi di emorragia polmonare l’avevano condotta in rianimazione, a un passo dalla morte in seguito all’accensione di un focolaio di infiammazione dei microcapillari nei polmoni. “Sono episodi clinici estremi in cui la sopravvivenza del malato è a rischio”, commenta De Benedetti. “Questa seconda ragazza presentava anche un interessamento renale grave e un interessamento del sistema nervoso centrale e, anche nel suo caso, le CAR-T hanno risolto il quadro. A due mesi dall’infusione sta meglio e il livello delle proteine nel sangue e nelle urine sta rientrando negli intervalli di normalità”.

Il terzo paziente ad aver ricevuto le CAR-T prodotte nella Cell Factory dell’OPBG è un bambino ucraino affetto da dermatomiosite giovanile, una condizione che affligge la cute e l’apparato muscolare scheletrico e per cui non esiste cura. La gestione terapeutica della dermatomiosite è assai complessa, ma nel caso in questione le CAR-T sembrano aver risolto il problema alla radice, tanto che oggi il bambino a 7 mesi dal trattamento con CAR-T è in buona salute, non assume alcuna terapia immunosoppressiva e ha persino ricominciato a giocare a pallone.

UN NUOVO INIZIO E TANTE CONSIDERAZIONI (NON SOLO MEDICHE)

Una tale sequenza di esiti felici ha galvanizzato medici e ricercatori, e ha richiamato l’attenzione delle aziende farmaceutiche e delle società biotech desiderose di dare un seguito commerciale a tale filone di cura. Tra queste c’è Cabaletta Bio - uno spin-off dell’Università della Pennsylvania - che sta sviluppando e testando all’interno di uno studio di Fase I/II CABA-201, una terapia a base di CAR-T dirette contro l’antigene CD19 per pazienti affetti da LES (che non presentino però una sintomatologia renale grave). “Sono diverse la malattie autoimmuni per cui l’approccio con le CAR-T anti-CD19 potrebbe produrre risultati concreti”, ipotizza De Benedetti. “Oltre alla sclerodermia anche le malattie neuromediate e la miastenia grave”. Per quest’ultima, infatti, la biotech californiana Kyverna Therapeutics ha sviluppato una terapia a base di CAR-T alla quale la Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha concesso l’autorizzazione all’avvio di un trial clinico di Fase II. E nel mirino ci sono anche l’artrite reumatoide e, forse un domani, persino la celiachia.

“Il razionale per un utilizzo delle CAR-T nelle malattie autoimmuni non risiede solo nel miglioramento della qualità di vita dei malati, che comunque rimane l’obiettivo principale da perseguire”, conclude De Benedetti. “Occorre valutare anche l’onere socio-economico della malattia: infatti, disturbi come il LES o la sclerodermia costringono le persone a rimanere sotto terapie per tutta la vita. Di conseguenza, il costo di un’assistenza sanitaria e farmacologica che si prolunghi per vari decenni è molto più elevato di quello - peraltro non indifferente - delle CAR-T. Poi bisogna considerare i costi indiretti, con le giornate di lavoro o di studio perse, e l’impatto della malattia sulla vita sociale delle persone”. È uno scenario particolareggiato e complesso ma che già da ora occorre cominciare a fotografare nei dettagli. 

Per ulteriori informazioni su questo tema è possibile consultare l’articolo “Nuovi fronti di ricerca contro le malattie autoimmuni”.

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