tumore al pancreas, terapia genica

Nell’80% dei casi la diagnosi giunge quando il cancro al pancreas è già in metastasi ma gli studi sulle cellule di supporto a quelle tumorali promettono buone opportunità di trattamento

È difficile scordare le ultime foto dell’attore Patrick Swayze, indimenticato protagonista di film come Dirty Dancing e Ghost. Noto per il suo fisico scolpito, Swayze è stato colpito da un tumore al pancreas che in poco tempo lo ha spinto verso un profondo deperimento. Tanti malati continuano a esser gravati dalla sofferenza originata da questa neoplasia per cui, attualmente, rimangono limitate prospettive di cura. Per tale ragione l’oncologia si sta rivolgendo alle terapie avanzate nella speranza di trovare una soluzione che massimizzi l’effetto dei farmaci e vinca la resistenza delle cellule tumorali. Tra chi sta conducendo studi di questo genere c’è Massimo Dominici, professore di Oncologia presso l’Ateneo di Modena e Reggio Emilia (UniMoRe) e Direttore della Struttura Complessa di Oncologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena.

Il pancreas svolge funzioni sia endocrine - attraverso la produzione di insulina e glucagone, attivi nel regolare il metabolismo intermedio di glucidi - che esocrine, grazie alla produzione del succo pancreatico contenente potenti enzimi proteolitici in grado di digerire proteine e lipidi. In genere tali enzimi circolano nel torrente ematico in piccole quantità ma in caso di gravi affezioni pancreatiche, ad esempio la pancreatite acuta, il loro livello cresce pericolosamente e, se non si interviene in tempo, le conseguenze per l’organismo possono essere letali. “Il tessuto di cui è formato il pancreas è in perenne attivazione”, puntualizza Dominici. “Se aumentiamo il consumo di cibi grassi o alcol quest’organo lavora di più, le cellule finiscono in una situazione di stress e si instaura uno stato di infiammazione che può predisporre lo sviluppo di un tumore”.

Ciò spiega perché l’adenocarcinoma duttale (la forma più frequente di neoplasia pancreatica) sia così diffuso nell’emisfero occidentale più industrializzato: ogni anno nel mondo si contano circa mezzo milione di nuovi casi di tumore del pancreas e, di questi, poco meno di 14 mila si registrano solo in Italia. Ma il dato più sconvolgente è legato alla mortalità, con un numero di decessi annuale quasi pari a quello delle nuove diagnosi.Nella maggior parte dei casi, purtroppo, il tumore del pancreas si presenta all’attenzione medica in una fase già avanzata, cioè con metastasi solitamente localizzate al fegato e al peritoneo”, prosegue Dominici. “I sintomi iniziali sono vaghi, facilmente confondibili con quelli di altre patologie e non esistono programmi di screening con esami specifici come accade invece per altri tumori (ad esempio, quelli della mammella o del colon-retto, N.d.R.). Perciò, solamente in un quinto dei pazienti la malattia viene intercettata e diagnosticata allo stadio iniziale (o localmente avanzato) e in queste condizioni le scelte sono due: l’intervento chirurgico oppure una chemioterapia neoadiuvante per ridurre la massa e consentire successivamente l’intervento chirurgico”. Purtroppo, dei pochi con diagnosi in fase iniziale ancora meno sono quelli in condizione di esser immediatamente sottoposti a resezione chirurgica e ciò incide drasticamente sui dati di sopravvivenza a lungo termine che, per il tumore del pancreas, sono tra i peggiori in assoluto (secondo dati AIRTUM la sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è dell’11,5%).

L’identificazione dei fattori di rischio e la messa a punto di metodiche per la diagnosi precoce sono priorità ben riconosciute dagli oncologi: un recente articolo pubblicato su The American Journal of Gastroenterology ha confermato l’utilità della sorveglianza con metodiche di imaging nelle persone con familiarità per questo tumore o con mutazioni germinali nei geni BRCA. Tuttavia, la linea di spartiacque continua a coincidere con la capacità di portare il più presto possibile il paziente all’intervento chirurgico.

Il trattamento farmacologico per il tumore del pancreas è rimasto pressoché lo stesso di vent’anni fa”, dichiara Dominici. “Altre neoplasie hanno beneficiato dell’introduzione di nuovi farmaci tra cui gli inibitori di PARP (iPARP), gli anticorpi monoclonali o gli agenti immunoterapici, invece nel tumore del pancreas si usano combinazioni di più chemioterapici (gemcitabina, 5-fluorouracile/acido folinico, oxaliplatino, irinotecan e Nab-paclitaxel, N.d.R.) per annientare le cellule tumorali”. Il problema più difficile da risolvere, infatti, è insito nelle stesse cellule dell’adenocarcinoma pancreatico il quale presenta una struttura tissutale unica. “Le cellule tumorali sono circondate dallo stroma, composto da fibroblasti associati al cancro (CAFs) che partecipano al processo infiammatorio”, prosegue l’oncologo modenese. “In diversi altri casi è stata osservata l’esistenza di cellule che supportano la crescita del tumore ma, nel tumore pancreatico, queste cellule sono numericamente maggiori di quelle tumorali e giungono a rappresentare quasi due terzi del volume del tumore”. Perciò i CAFs e le cellule miofibroblastiche impediscono ai linfociti T di accedere alle cellule tumorali, bloccando di conseguenza la risposta immunitaria. “È una situazione più unica che rara su cui da alcuni anni io e il mio gruppo di ricerca abbiamo cominciato a riflettere”, spiega Dominici. “Considerato il livello di aggressività del tumore le cellule di supporto non dovrebbero prevalere e, invece, non solo forniscono supporto e nutrimento al tumore ma finiscono per ‘ingabbiarlo’, mettendo in atto un raffinato sistema di controllo della crescita (l’adenocarcinoma duttale pancreatico ha tempi di sviluppo lenti, stimati in circa 15 anni, ecco perché è difficile rilevarlo negli stadi iniziali, N.d.R.). È un paradosso che in oncologia non trova eguale”. Nell’Arte della Guerra di Sun Tzu si legge che “su un terreno impegnativo bisogna assicurare il flusso di rifornimenti” ed è ciò che le cellule stromali fanno, nutrendo il tumore. I CAFs e le altre unità stromali non sono parte del tumore, non hanno la sua stessa capacità di crescere e rinnovarsi, ma fungono da scudo verso gli attacchi del sistema immunitario azzerando l’effetto dei farmaci immunoterapici.

Partendo da questa peculiarità patogenetica, Dominici e il suo team hanno condotto approfondite ricerche sulle cellule stromali, mettendo a punto un’interessante strategia basata sulla manipolazione genetica delle cellule affinché queste esprimano una proteina - TRAIL - che innesca i processi apoptotici uccidendo le cellule di supporto al tumore (ne avevamo parlato qui). “Abbiamo pensato a una sorta di cavallo di Troia con cui ingannare il tumore, indebolendo così le sue difese”, conclude Dominici. “Le cellule da modificare sono state ricavate dal tessuto adiposo e sono state testate in un modello avanzato di cancro pancreatico umano in combinazione con uno o più agenti chemioterapici, con risultati molto soddisfacenti”.

Per una sorta di contrappasso oncologico si potrebbe affermare che i ricercatori modenesi sono riusciti a fare alle cellule tumorali ciò che esse fanno al tessuto sano. Le fasi precliniche di questo filone di ricerca hanno prodotto esiti talmente positivi da poter avviare uno studio clinico di Fase I/II per verificare la sicurezza e l’efficacia di questo approccio che, qualora dovesse essere confermato da ulteriori futuri studi, potrebbe cambiare le modalità di trattamento e la curva di sopravvivenza di molti pazienti con adenocarcinoma duttale pancreatico. 

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